Il processo di accoglienza dei migranti in Italia

Il processo di accoglienza dei migranti in Italia

Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia opera su due livelli: prima accoglienza, che comprende gli hotspot e Cpa, e seconda accoglienza, che comprende il SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) – che con il decreto Lamorgese ha sostituito il SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) introdotto da Salvini – e i CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, ibrido tra prima e seconda accoglienza.

Prima accoglienza: Hotspot e Centri di prima accoglienza

La prima accoglienza è svolta in centri collettivi dove i migranti appena arrivati in Italia vengono identificati e possono avviare, o meno, la procedura di domanda di asilo. In particolare gli hotspot sono centri dove vengono raccolti i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Qui ricevono le prime cure mediche, vengono sottoposti a screening sanitario, vengono identificati e fotosegnalati e possono richiedere la protezione internazionale.

Dopo una prima valutazione, i migranti che fanno domanda di asilo vengono trasferiti nei centri di prima accoglienza, dove vengono trattenuti il tempo necessario per individuare una soluzione nella seconda accoglienza.

Secondo le informazioni del Ministero dell’Interno, gli hotspot sono quattro: Lampedusa, Pozzallo, Messina e Taranto. La capienza è limitata e per ogni hotspot ci sono posti disponibili fino a 250 persone ma il numero di migranti, spesso è di gran lunga superiore e varia ovviamente a seconda del numero di persone che sbarcano e della velocità con cui vengono trasferite ai centri di prima accoglienza.

centri di prima accoglienza in funzione sono 9, contro i 12 segnalati a maggio 2019 e i 15 del 2018 e sono distribuiti in 5 regioni: Sicilia, Puglia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Calabria. Il disegno iniziale era di aprire un Centro di Prima Accoglienza per regione, ma evidentemente le direttive sono cambiate.

E coloro che non fanno domanda di asilo? Vengono condotti nei CPR (Centri di Permanenza e Rimpatrio), ex CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione). I CPR sono centri dove vengono rinchiusi coloro che hanno ricevuto procedimenti di espulsione e devono essere rimpatriati. Nel decreto Minniti-Orlando, che ha istituito i CPR, i migranti potevano essere trattenuti per un massimo di 90 giorni, estesi a 180 dal decreto Salvini, riportati a 90 del decreto Lamorgese.

CPR sono attualmente 9 (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo, Macumer, Palazzo San Gervasio, Torino, Roma e Trapani). I numeri variano in continuazione: il totale dei posti disponibili varia da 500 a 1.000, le presenze a fine 2020 erano 450.

Seconda accoglienza: il SAI (ex SIPROIMI, ex SPRAR)

Una volta transitati dagli hotspot e dai centri di prima accoglienza, i richiedenti asilo vengono assegnati alla seconda accoglienza, il Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) introdotto con la riforma Lamorgese. Il SAI sostituisce il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), istituito con il Decreto sicurezza nel 2018, che a sua volta sostituiva il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), in vigore dal 2002 al 2018.

l SAI ritorna ai principi dello SPRAR, ossia a un’accoglienza più orientata all’integrazione. Al sistema possono accedere sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione, mentre la riforma Salvini aveva limitato l’accesso al sistema solo a coloro che avevano già ottenuto una risposta positiva alla domanda di asilo (status di rifugiato o protezione sussidiaria) e ai minori stranieri non accompagnati.

I richiedenti asilo ricevono assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica, i titolari di protezione hanno anche servizi più esplicitamente rivolti all’integrazione e all’orientamento lavorativo. Se i posti nel SAI si esauriscono, si ricorre al sistema di accoglienza straordinaria, ossia i CAS.

Secondo l’ultimo Rapporto SIPROIMI-SAI su un totale di 37.372 persone accolte nel sistema nel 2020 i richiedenti asilo sono il 25,7% dei beneficiari dei progetti, percentuale che era del 58% nel 2015 e del 47% nel 2016, in piena emergenza, mentre era scesa al minimo del 18,7% nel 2019 come conseguenza della linea Salvini. Il 62,5% dei beneficiari sono invece titolari di una forma di protezione: 27% di rifugiati, 18,7% di protezione sussidiaria, 9,3% di permessi per casi speciali e 5,4% di protezione umanitaria in netto calo visto che da fine 2018 non esiste più. I minori stranieri non accompagnati rappresentano invece il 12% dei beneficiari

Ma facciamo un passo indietro, per comprendere il senso e le evoluzioni di questo sistema di accoglienza dei migranti in Italia. Lo SPRAR fu istituito con la legge 189 del 2002, anche se in realtà una rete di accoglienza decentrata che coinvolgeva comuni e organizzazioni del terzo settore nella sperimentazione di esperienze di accoglienza era già attiva dal 1999. Si tratta quindi di una pratica dal basso, che è poi stata istituzionalizzata diventando un sistema nazionale.

Il sistema è coordinato dal Ministero dell’Interno in collaborazione con ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Gli enti locali che scelgono di aderire al SAI possono fare domanda per accedere ai fondi ministeriali in qualsiasi momento, rispondendo ad un avviso pubblico sempre aperto.

Una volta che la domanda viene approvata dal Ministero, l’ente locale riceve un finanziamento triennale per l’attivazione di un progetto di accoglienza sul proprio territorio. A quel punto l’ente pubblica a sua volta una gara d’appalto per assegnare le risorse ottenute ad un ente gestore, che deve essere un ente non profit (le famose “cooperative”, ma ci sono anche associazioni). La proposta ritenuta migliore ottiene l’appalto per la gestione del progetto, con il comune che rimane comunque come ente di riferimento.

I progetti devono implementare il principio base del sistema: l’accoglienza integrata, che implica la costituzione di una rete locale (con enti del terzo settore, volontariato) per curare un’integrazione a 360 gradi nella comunità locale, da realizzarsi attraverso attività di inclusione sociale, scolastica, lavorativa, culturale.

Gli enti devono individuare gli alloggi in cui inserire i beneficiari, che possono essere appartamenti o centri collettivi di piccole (15 persone circa), medie (fino a 30 persone) o grandi (più di 30 persone) dimensioni. Di fatto vengono utilizzati soprattutto appartamenti, nell’85% dei casi, e centri di piccole dimensioni, nel 6,5% dei casi.

Negli alloggi i rifugiati e titolari di protezione sussidiaria possono restare per sei mesi, prorogabili di altri sei mesi, durante i quali sono accompagnati a trovare una sistemazione autonoma. Oltre agli alloggi, gli enti gestori sono chiamati a fornire una serie di beni e servizi: pulizia e igiene ambientale (che sono comunque anche svolti dagli ospiti in autogestione); vitto (colazione e due pasti principali, meglio se gestiti in autonomia dagli ospiti); attrezzature per la cucina; abbigliamento, biancheria e prodotti per l’igiene personale di base; una scheda telefonica e/o ricarica; l’abbonamento al trasporto pubblico urbano o extraurbano sulla base delle caratteristiche del territorio.

Ci sono poi una serie di altri servizi per l’inserimento sociale che fanno la differenza per l’obiettivo di una reale accoglienza e integrazione: iscrizione alla residenza anagrafica del comune; ottenimento del codice fiscale; iscrizione al servizio sanitario nazionale; inserimento a scuola di tutti i minori; supporto legale; realizzazione di corsi di lingua italiana, o iscrizione e accompagnamento a corsi del territorio; orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo; orientamento e accompagnamento all’inserimento abitativo; attività socio-culturali e sportive.

Per fare tutto questo ci vuole personale. Gli enti gestori quindi assumono operatrici e operatori che lavorino nei progetti a supporto dei beneficiari. Si tratta solitamente di: personale di coordinamento e amministrazione, operatori sociali, psicologi, assistenti sociali, operatori legali, interpreti e mediatori culturali, insegnanti di lingua italiana, addetti alle pulizie, autisti, manutentori. Nel 2020 il totale di persone impiegate nei progetti SAI è stato di 14.076 persone (donne per il 60%).

Il personale rappresenta la spesa più importante nei progetti. La restante quota va all’attivazione di servizi per l’integrazione (borse lavoro, iscrizione a corsi o ad attività sportive o culturali), eventuali interventi di manutenzione alle strutture, il pocket money che va direttamente in mano ai beneficiari, e che possono spendere come desiderano. Si tratta di un contributo che va dagli 1,5 ai 3 euro al giorno, che incide per meno del 10% sul costo dei progetti.

Secondo i dati riferiti a gennaio 2021, sono 650 gli enti locali con progetti SAI attivi. Considerato che alcuni di questi sono aggregazioni di comuni (Unioni di comuni, ambiti sociali, distretti sanitari, comuni associati), in totale sono 1.800 i comuni coinvolti in tutta Italia. Questa la distribuzione territoriale dei comuni dove sono attivi progetti SAI nel 2020.

L’accoglienza straordinaria: i CAS

Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia così concepito si è rivelato insufficiente a rispondere al bisogno di accoglienza delle centinaia di migliaia di richiedenti asilo arrivati in Italia tra metà 2014 e metà 2017. Per questo sono stati introdotti i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), concepiti come strutture temporanee da aprire nel caso in cui si verifichino “arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti” (Decreto Legislativo 142/2015, art. 11) che non sia possibile accogliere tramite il sistema ordinario.

I CAS tuttavia sono nel tempo diventati la regola, e il loro nome è quanto mai improprio. Si tratta infatti non necessariamente di centri (si possono usare anche appartamenti, come nel SAI) e l’accoglienza è tutt’altro che straordinaria: si tratta infatti della modalità ordinaria in cui sono stati inseriti i migranti, almeno dal 2015 al 2020.

A differenza dei progetti SAI, gestiti da enti non profit su affidamento dei comuni, i CAS possono essere gestiti sia da enti profit che non profit su affidamento diretto delle prefetture. Ogni prefettura territoriale pubblica quindi delle gare d’appalto periodiche per l’assegnazione della gestione dei posti in modalità CAS.

I CAS possono essere gestiti in modalità accoglienza collettiva o accoglienza diffusa. L’accoglienza collettiva comprende strutture anche di centinaia di persone, che sono poi quelle che danno più spesso dei problemi sia per i migranti che per i territori dove sono situate: hotel, bed & breakfast, agriturismi, case coloniche. L’accoglienza diffusa avviene invece in appartamento e, seppur con meno garanzie di qualità rispetto agli appartamenti inseriti nel SAI, risulta comunque in un impatto più sostenibile sul territorio in cui viene attuata.

Come il SAI, anche i CAS vengono finanziati con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo e vengono, come detto, assegnati tramite gare d’appalto basate su una retta giornaliera per ciascun utente. La retta media era fino a dicembre 2018 di 35 euro a persona accolta al giorno. Il Decreto Salvini ha abbassato notevolmente queste rette, ora rialzate dopo la riforma Lamorgese.

Come abbiamo spiegato più nel dettaglio in questo articolo, questo taglio ha fortemente limitato i servizi per l’integrazione: l’insegnamento della lingua italiana, il supporto alla preparazione per l’audizione in Commissione Territoriale per la propria richiesta di asilo, la formazione professionale, la gestione del tempo libero (attività di volontariato, di socializzazione con la comunità ospitante, attività sportive).

Sono state ridotte al minimo le figure professionali volte al sostegno e assistenza in particolare alle persone vulnerabili: assistenti sociali e psicologi. Tutti tagli che hanno portato numerose cooperative a rinunciare a partecipare ai bandi, ritenendo impossibile poter offrire un servizio dignitoso e professionale. La conseguenza è che sono stati incentivati a partecipare ai bandi soprattutto quei soggetti privati meno interessati alla qualità del servizio offerto e al benessere delle persone, e disposti a tagliare su tutto pur di gestire il servizio non in perdita.

Con la riforma Lamorgese il ricorso ai CAS è da valutare solo dopo l’esaurimento dei posti nel sistema ordinario SAI, riportando l’accoglienza straordinaria a una dimensione, appunto, straordinaria. Tuttavia, essendo i posti nel SAI ancora limitati e i numeri dei migranti in arrivo in aumento, andrà verificato quanto effettivamente si ricorrerà ai CAS.

Attualmente i CAS presenti sul territorio italiano sono circa cinquemila per un totale di 80 mila posti disponibili, di cui ad agosto 2021 sono occupati circa 50 mila.

Le prospettive del sistema di accoglienza dei migranti in Italia

I numeri dei migranti presenti nel sistema di accoglienza sono andati progressivamente calando. A fine 2017 erano poco più di 183 mila, scesi progressivamente fino agli 83 mila di settembre 2020.

Il calo prosegue nel 2021: al 15 agosto, (secondo quanto riportato dal Ministero dell’Interno nel cruscotto statistico) sono presenti nel sistema di accoglienza dei migranti in Italia circa 77 mila persone. Di queste, 51 mila (il 66%) sono ospitate nei CAS, solo 25 mila sono le persone presenti nei centri SAI, segno che ancora la transizione da accoglienza straordinaria a ordinaria si deve compiere.



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